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Per endodonzia chirurgica si intende quella branca dell’odontoiatria che si occupa della diagnosi e del trattamento delle lesioni di origine endodontica che non rispondono alla terapia endodontica convenzionale o che non possono essere trattate con la terapia endodontica convenzionale.
Lo scopo dell’endodonzia chirurgica, pertanto, è quello di ottenere detersione, sagomatura e otturazione tridimensionale della porzione apicale del sistema dei canali radicolari non trattabili attraverso la cavità d’accesso, ma raggiungibili solo attraverso un lembo chirurgico. Per questo motivo si preferisce utilizzare il termine “endodonzia chirurgica” anziché “chirurgia endodontica”, in quanto l’intervento deve essere programmato ed eseguito come un intervento di endodonzia fatto attraverso un accesso chirurgico, e non solo come un intervento di chirurgia fatto per motivi endodontici.
Una volta che è stata fatta la diagnosi di insuccesso endodontico, è necessario capire quali sono state le cause che hanno portato all’insuccesso stesso, per valutare successivamente se esista la possibilità di correggere il fallimento con un ritrattamento ortogrado. Solo nel caso in cui questa possibilità non esista o, meglio, solo dopo che i tentativi di risolvere la terapia per via non chirurgica siano falliti, siamo autorizzati a intervenire per via chirurgica. L’endodonzia chirurgica, in altre parole, non è il sostituto di un’endodonzia approssimativa e non deve essere una scappatoia per lasciare non “ritrattata” una terapia endodontica ortograda inadeguata.
In accordo con quanto affermato da Nygaard-Ostby e Schilder8, l’endodonzia chirurgica deve essere riservata a quei casi nei quali la preparazione e l’otturazione dei canali radicolari appaiono impossibili fin dall’inizio, o quando i tentativi di ritrattamento non chirurgico siano falliti. Anche in questi casi, tuttavia, gli autori raccomandano di riempire con le metodiche tradizionali la maggior parte possibile di canale prima di procedere all’intervento chirurgico.
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